Nell’estrema fragilità e nel dolore si scopre la grandezza della vocazione umana, che non appare quando c’è il successo e tutto va bene, ma solo quando la vita risulta essere più difficile e forse umanamente incomprensibile.
La vicenda storica di Gesù Cristo sta lì a ricordarcelo. Egli rivela la sua vocazione di Salvatore sulla croce, quando tutto sembra perduto e finito per sempre e invece tutto rinasce e comincia. Il suo sacrificio pasquale non è la sconfitta del bene sul male e del dolore e della sofferenza sulla gioia, ma la via attraverso cui Egli passa per far trionfare l’amore sulla violenza e la vita sulla morte. Lui stesso lo dice: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24). Il chicco di grano è la sua vita donata sulla croce del dolore, della solitudine e della morte; il frutto abbondante è la sua risurrezione e la vittoria del bene sul male. Così, nei fratelli e sorelle malati, vediamo la vicenda stessa di Gesù e contempliamo il suo volto sfigurato dal dolore, la sua carne consumata dalla sofferenza.
Ogni uomo è chiamato a fare della propria vita sofferente un dono d’amore, unendola alla passione e morte del Figlio di Dio, come ci ricorda l’Apostolo Paolo: «Completo nella mia carne ciò che manca alla passione di Cristo a vantaggio della sua Chiesa» (cfr. Col 1, 24). Non è poesia o evasione consolatoria, ma certezza, che nasce, oltre che dalla fede in Cristo, dalla stessa vocazione umana. Dio ha creato l’uomo per la vita e non per il dolore e la morte. Se il peccato ha introdotto nel mondo queste realtà negative e distruttive, Dio sa dare senso anche al male vincendolo con il sacrificio del suo Figlio.